Tempo Ordinario
 

Dopo la solennità di Pentecoste riprende il tempo liturgico ordinario che ci condurrà fino all’avvento. Un lungo periodo dove ognuno potrà riposare e trovare spazio per sé, pace per lo spirito, un po’ di tregua per la mente e tanto benessere per il corpo.

La festa della Santissima Trinità ci guida a mettere mano sul serio alle nostre relazioni, mentre la festa del Corpus Domini ci darà valide indicazioni per prenderci cura della nostra fisicità.

Momenti vivi per la nostra realizzazione saranno offerti dalle solennità della Trasfigurazione e dell’Assunta nel mese di agosto a ricordarci chi siamo veramente e che siamo stati creati per essere ri-assunti insieme nelle sfere celesti.

La festa di tutti i Santi ci presenterà la vita del regno dei cieli preparata per chi ha cominciato a vivere nello spirito delle Beatitudini e la solennità di Cristo re dell’universo ci indicherà che Lui solo è la Via, la Verità e la Vita per entrare nella gioia di questo regno per sempre.

Cogliamo questa opportunità di cammino per andare avanti imparando a mettere i piedi proprio lì dove abbiamo deciso di guardare…


Santi Simone e Giuda apostoli

Simone, detto lo zelota per distinguerlo da Simon Pietro, è stato uno degli apostoli di Yeshua. Ben poco è stato tramandato della sua figura, a parte il nome che appare in tutte le liste di apostoli dei Vangeli sinottici e degli Atti degli Apostoli, senza ulteriori dettagli.

Quasi sicuramente l’appellativo zelota indica la sua appartenenza al partito politico antiromano degli zeloti, confermato anche da quello di cananeo, che deriva dalla parola ebraica qana a richiamare ancora una volta il movimento degli zeloti, anche se la traduzione della parola come il Cananeo o il Canaanita è puramente tradizionale e priva di paralleli extra-canonici.

Uno zelota è un ebreo patriottico, conservatore delle tradizioni ebraiche, disposto a ribellarsi contro il governo romano, considerato straniero e nemico, allo scopo di liberare la Giudea dalla schiavitù imposta, ricorrendo anche alle armi se servisse. Il movimento era stato organizzato da un rivoluzionario rabbioso, Giuda il Galileo, almeno venti anni prima che Yeshua iniziasse il suo ministero pubblico. Si trattava di un movimento sotterraneo spietato e violento che tuttavia non era riuscito a liberare il paese, piuttosto ha comportato atti di vendetta da parte dei funzionari romani. Forse Simone inizialmente si mise a seguire Yeshua perché aveva visto in Lui il conquistatore capace di condurre i romani fuori dalla regione, dopodiché il messaggio del Maestro, di pace e non violenza a favore del regno di Dio, ha portato l’apostolo a una vera e propria conversione. Lo si può comunque paragonare ai tanti discepoli di Cristo, che in ogni tempo hanno lavorato nel silenzio e nel nascondimento per il trionfo del Regno di Dio, senza riconoscimenti eclatanti e ufficiali, in piena umiltà, perseveranza e sacrificio della vita.

Dell'attività evangelizzatrice di Simone si hanno poche tracce, la più consistente delle quali è contenuta nella Legenda Aurea, un testo agiografico scritto nel XIII secolo dal frate domenicano Jacopo da Varagine. La predicazione di Simone sarebbe iniziata in Egitto, probabilmente in compagnia di Bartolomeo, ma verso il 60 fece ritorno in Galilea, dove fu forse coinvolto, dati i suoi trascorsi tra gli zeloti, nella repressione che seguì la seconda guerra giudaica. Secondo alcune fonti fu proprio per sfuggire ai Romani che si spostò con i suoi seguaci in Persia, dove si riunì all’altro Apostolo, Giuda Taddeo, insieme al quale continuò l'opera di evangelizzazione nelle regioni della Mesopotamia e in Persia, spingendosi anche verso l'Armenia. La tradizione cattolica lo vuole martirizzato proprio insieme a Giuda Taddeo nella città persiana di Suanir nel 70, mentre altri affermano che gli sopravvisse di molti anni, finendo col subire il martirio all'età di oltre cento anni in Abcazia, sulle sponde nord-orientali del mar Nero, dove sarebbe anche sepolto. Sempre secondo la tradizione, subì un martirio particolarmente cruento: il suo corpo fu fatto a pezzi con una sega, dopo aver subito la crocifissione. Per questo motivo nell’iconografia l’apostolo viene raffigurato con questo attrezzo diventando così allo stesso tempo il patrono dei boscaioli e dei taglialegna.

 

Giuda Taddeo Lebbeo o Giuda di Giacomo è soprannominato l'Apostolo Trinomico, dai tre nomi, da San Girolamo che significano equivalentemente “l’uomo dal grande cuore, coraggioso”. Non va confuso perciò con Giuda Iscariota, il traditore, l’uomo dal cuore chiuso. Giuda Taddeo, apostolo di Yeshua, è divenuto anche il primo patriarca Catholicos della Chiesa armena.

Le poche informazioni che lo riguardano fanno tutte riferimento al Nuovo Testamento. Nato in Palestina, a Cana di Galilea o a Nazareth, praticò l’attività dell’agricoltura, come attestano le testimonianze di due discendenti del santo, Zoker e Giacomo. Costoro interrogati a Roma, in presenza dell'imperatore Domiziano, dichiararono di essere contadini così come lo era il loro nonno e continuarono affermando che il podere fruttava all'incirca mille denari, subito finiti a causa delle ingenti imposte.

Alcuni sostengono che Giuda Taddeo fosse fratello di Giacomo il Minore, perciò figlio di Maria di Cleofa, una delle tre Marie presenti sotto la croce, e di Alfeo, forse uno dei due discepoli di Emmaus, che a sua volta era fratello di Giuseppe, lo sposo di Maria di Nazareth. In questo senso l’apostolo potrebbe anche essere cugino di Yeshua. Eusebio di Cesarea, nella sua opera Storia Ecclesiastica dichiara come Giuda Taddeo, prima del suo incontro con il Signore, fosse sposato e che addirittura fosse lui stesso lo sposo delle nozze di Cana, luogo in cui Yeshua compì il primo segno trasformando l'acqua in vino.

Dopo la Pentecoste Giuda Taddeo iniziò la sua predicazione in Galilea, proseguendo per la Samaria e poi verso le altre popolazioni giudaiche. Probabilmente nel 50 prese parte al primo Concilio di Gerusalemme. Più tardi sembra abbia evangelizzato anche la Siria, l'Armenia e la Mesopotamia (attuale Iran), guadagnando appunto la compagnia di Simone lo “zelota” che già stava evangelizzando l’Egitto. La narrazione agiografica ci informa che i due inviati vengono arrestati e portati al tempio del sole dove si rifiutano di rinnegare Yeshua il Cristo e di prestare culto alla dea Diana. San Giuda Taddeo viene così trucidato dai sacerdoti pagani in maniera crudele, violenta e disumana in Persia, il 28 ottobre del 70. A lui sono attribuiti l'apocrifo Vangelo di Taddeo e, secondo la tradizione, anche la canonica Lettera di Giuda.


 

Vangelo del giorno

In quei giorni Yeshua uscì a pregare sul monte, passando la notte nella preghiera a Dio.
E quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e avendo scelto dodici da loro, che chiamò anche inviati: Simone che anche chiamò Pietro e Andrea suo fratello, e Giacomo e Giovanni e Filippo e Bartolomeo e Matteo e Tommaso e Giacomo di Alfeo e Simone quello chiamato Zelota e Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.
Ed essendo sceso con loro si pose su un luogo pianeggiante e c’era molta folla dei suoi discepoli e grande moltitudine di popolo da tutta la Giudea e Gerusalemme e dal territorio marittimo di Tiro e Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie e i molestati dagli spiriti impuri erano risanati, e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da Lui usciva una potenza che risanava tutti.

 Lc 6,12-19


 

Al mattino

Preghiera a San Simone cananeo

San Simone, inviato di Yeshua,
tu che ti sei distinto con impegno nel sostenere la causa del Vangelo
proclamando al mondo le procedure della gioia,
vogliamo imparare da te ad operare e agire nell’eccellenza
a favore del prossimo per dare gloria solo a Dio.

San Simone, discepolo zelante,

che hai abbandonato le convinzioni legate al passato
per dedicare tutta la tua vita all’annuncio

di ciò che rende davvero liberi,
abbiamo capito che nulla si ottiene con la forza e il combattimento,
e che solo con l’amore fedele
si mantiene viva l’armonia della creazione.

San Simone, compagno di viaggio,
che, per disegno divino,
ti sei ritrovato con San Giuda Taddeo in Persia
ad annunciare il messaggio del Signore,

ispiraci ancora lo spirito di intesa e collaborazione,
che ci guida a colpi di perdono e di gesti gratuiti
all’unità, il senso primo e vero dell’esistenza.

San Simone, uomo dello Spirito,

dispensatore di grazie e benefici per tutti i figli di Dio,
in questo giorno, animati dalla tua pace,
sentiamo il bisogno di lasciar andare ogni nostro sbaglio di mira,
e sostituire quei pensieri nocivi alla nostra e altrui salute,
per tornare a lodare e cantare nello stupore la bellezza della vita
e così celebrare in modo nuovo la salvezza
di chi dirige con intelligenza i propri passi verso la casa del Padre.

Amen.

 


Alla sera

Preghiera a San Giuda Taddeo

San Giuda Taddeo, discepolo fedele e solerte,
abbiamo bisogno in questi tempi di ritrovare la fermezza della fede
per poter dare risposte nuove
alle provocazioni del mondo odierno.

San Giuda Taddeo, entusiasta amante del Signore,
vogliamo imparare ad amare Dio con tutto noi stessi
e il prossimo come noi stessi,
non solo a parole ma con azioni puntuali e concrete.

San Giuda Taddeo, uomo di collaborazione,
abbiamo a cuore lo stile di vita del regno della gioia
che ha come scopo l’unità di molti
dove tutto è comune e a disposizione di tutti,

rischiaraci la via della concordia e della fratellanza.

San Giuda Taddeo, inviato di verità,
siamo disposti a seguire il Maestro Yeshua
donando tutto ciò che siamo e abbiamo,

senza cedere alle tentazioni diaboliche di separazione,
alle lusinghe della pigrizia e alle giustificazioni della stanchezza.

San Giuda Taddeo, assiduo evangelizzatore delle genti,

aiutaci ad accogliere ciò che è diverso da noi
come possibilità di arricchimento ed evoluzione,
per poter cambiare qualcosa della nostra vita,
cominciando a sciogliere quelle dipendenze
che sono diventate per noi troppo obbliganti e doverizzanti.
San Giuda Taddeo, prodigioso intercessore nelle cause impossibili e disperate,
ora ti chiediamo di sostenerci in questa necessità (...)
per la gloria di Dio e il ripristino della bellezza della Vita.

Amen.

Solennità di tutti i Santi

La festa di tutti i Santi si diffuse nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Dal IX secolo cominciò ad essere celebrata anche a Roma. Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla chiesa ancora pellegrina e sofferente sulla terra. L’assemblea festosa dei nostri fratelli nella fede rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio, l’umanità che ha desiderato con tutta se stessa di tornare all’unità con il Padre che ci richiama al nostro fine e alla nostra vera vocazione, la santità, essere come Dio ci vuole.

Festeggiare tutti i santi è guardare a coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna, quelli che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del cuore, della mente e del corpo.

Essi sono i nostri fratelli maggiori che si sono lasciati avvolgere dall’amore di Yeshua perché Lui fosse tutto in loro. Maria, la Regina di tutti i Santi, li ha instancabilmente riportati a questa via di beatitudine: è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio, è con lei che essi vivono attualmente nel segreto del Padre.

Ecco la comunione dei Santi, la vera chiesa, a cui ogni uomo e ogni donna è chiamato. L'unità dello Spirito, da cui la Chiesa è animata e retta, fa sì che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro che vi appartengono.
Il termine comunione dei Santi ha perciò due significati, strettamente legati: comunione alle cose sante di Dio e comunione tra le persone sante. Sancta sanctis, le cose sante ai santi. Queste parole vengono proclamate dal celebrante nella maggior parte delle liturgie orientali, al momento dell'elevazione dei santi doni, prima della distribuzione della Comunione. I fedeli (sancti) vengono nutriti del Corpo e del Sangue di Cristo (sancta) per crescere nella comunione dello Spirito Santo e comunicarla al mondo.

Santo significa separato, diverso e indica la via per vivere questa nostra vita in modo altro, cominciando a guardare già da qui, le verità che sono via al cielo. Siamo nel mondo, ma non del mondo: apparteniamo da sempre solo a Dio.

 


Vangelo del giorno

Allora alla vista della folla Yeshua salì sulla montagna, e come si fu seduto vennero a lui i suoi discepoli; e aperta la sua bocca insegnava loro dicendo:

Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli,
beati i piangenti perché essi saranno consolati,
beati i miti perché erediteranno la terra,
beati gli affamati e gli assettati di giustizia perché saranno saziati,
beati i misericordiosi perché otterranno misericordia,
beati i puri di cuore perché vedranno Dio,
beati i facitori di pace perché saranno chiamati figli di Dio,
beati i perseguitati a causa di giustizia perché di essi è il regno dei cieli.
Beati siete voi quando vi ingiuriano e vi perseguitano e dicono ogni male contro di voi mentendo a causa mia.
Rallegratevi ed esultate che il vostro salario è grande nei cieli.
Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Mt 5,1-12


 

Preghiera

O Dio, Padre buono e misericordioso, ti ringraziamo perché, in ogni tempo,

tu rinnovi e vivifichi la tua Chiesa, suscitando uomini e donne

chiamati a vivere e testimoniare in maniera “altra” la vita del regno dei cieli.

Attraverso di essi tu fai risplendere la varietà e la ricchezza dei doni del tuo Spirito di amore,
in loro manifesti l'armonia e la bellezza della creazione,

come loro ci inviti a camminare in questo mondo contraddittorio,

con loro ci fai risalire verso la vera Casa, edificata solo per noi.

Questi fratelli e queste sorelle, deboli e fragili come noi,

hanno infatti capito il vero senso della vita,

sono vissuti puntando sulla forza del desiderio,

credendo nella potenza della fede,
provando ogni giorno ad imparare ad amare del Tuo stesso amore

se stessi, gli altri, la Realtà.

Padre, come loro, vogliamo seguire il Figlio tuo, Yeshua,

applicando le indicazioni del Vangelo alla vita
e cercando ogni giorno il senso della nostra esistenza
perché sia piena e donata per il bene di tutti.

Ti ringraziamo perché hai voluto che continuasse tra noi e i Santi
la comunione di vita nell’unità.

Ti chiediamo, Signore, la grazia di poter proseguire la nostra esistenza terrena

nella gioia e nella gratitudine, nonostante le difficoltà e le tentazioni,

per giungere anche noi al tuo regno di luce e di gloria.

Amen.

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

La chiesa desidera sentire il popolo di Dio presente in un unico abbraccio. Pertanto prega per i  morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore.

La commemorazione dei fedeli defunti appare già a partire dal secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, arcivescovo metropolita di Treviri nel secolo IX, sotto Carlo Magno, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente alla festa dei Santi. Tuttavia è con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che la data del 2 novembre viene dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti.

Costui era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.

All’udire queste parole, il monaco ordinò a tutti i confratelli del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d.C.

La chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. Addirittura sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio.

Tuttavia come ricorda il libro di Giobbe non è la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Ed è per questo che i fedeli pregano non tanto per i loro defunti ma per mantenere vivo il desiderio di raggiungere come loro il Regno dei cieli ed unirsi agli eletti nella lode della gloria di Dio.

Anzi questo è il giorno per tagliare definitivamente con il passato, chiudere i sospesi, distaccarsi dai legami parentali e dalle catene genealogiche, perché ogni figlio di Dio possa percorrere la propria strada senza ripetere quella di altri. Il distacco è forse doloroso, ma fa vivere. Dio è il Dio dei viventi e non dei morti (cfr. Lc 20,38). La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono (Sai 2,24).

Purtroppo viviamo immersi dentro una cultura di morte, senza renderci conto che la realtà mostra come i cimiteri e le tombe siano vuoti e che i credenti redenti sono già in Dio al momento del loro passaggio. Accendere un lumino alla finestra oggi serve a ricordare al cuore che siamo fatti per la vita e che siamo vivi.

 


Vangelo del giorno

Ogni cosa che il Padre mi da verrà a me e non getto affatto fuori colui che viene a me,
perché sono disceso dal cielo non per fare la volontà quella mia,
ma la volontà di colui che mi ha inviato.
Ora questa è la volontà di colui che mi ha inviato:
che ogni cosa che il Padre ha dato a me, non la perda da lui, ma la risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio:
che ogni vedente il Figlio e credente in lui abbia vita eterna, e io risusciterò lui nell’ultimo giorno.

Gv 6,37-40


Mentre si accende il lumino si prega e si medita il seguente Salmo:

Salmo 129

Dal profondo a te grido, o Signore;

Signore, ascolta la mia voce.

Siano i tuoi orecchi attenti

alla voce della mia supplica.

 

Se consideri le colpe, Signore,

Signore, chi ti può resistere?

Ma con te è il perdono:

così avremo il tuo timore.

 

Io credo nel Signore.

Desidera l’anima mia,

attendendo la sua Parola.

L’anima mia è rivolta al Signore

più che le sentinelle all’aurora.

 

Più che le sentinelle l’aurora,

Israele attenda il Signore,

perché con il Signore è la misericordia

e grande è con lui la redenzione.

Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

 

Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, ora e sempre, nei secoli dei secoli.

Amen.

 

Il lumino viene deposto alla finestra per tutto il giorno come un personale Sì alla Vita.

Trentunesima Domenica del Tempo Ordinario - anno B

Tutti cercano di cogliere in fallo Yeshua, ma non vi riescono né i farisei con gli erodiani (cfr. Mc 12,13-17), né tantomeno i sadducei (cfr. Mc 12,18-27). Nel Vangelo di oggi è il turno di una persona competente: un dottore della legge, il quale, avendo udito che il Maestro aveva chiuso la bocca agli altri interlocutori, cerca di metterlo alla prova. La domanda dello scriba è precisa, egli vuole controllare la sua ortodossia per poterlo poi denunciare: Qual è il primo di tutti i comandamenti?

Il dottore della legge conosce bene la risposta. Il comandamento più grande era il rispetto del giorno di sabato, che perfino Dio rispettava (cfr. Gn 2,3). La trasgressione del sabato era punita con la morte. Osserverete dunque il sabato, perché lo dovete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo (Es 31,14).

Tuttavia per Yeshua l’amore è più importante della legge, per cui opera guarigioni e miracoli sopratutto in questo giorno dedito al riposo e quindi al ripristino immediato dei suoi pazienti. Tantissime malattie dipendono dalla mancanza di ritmo nel concedersi un tempo sano per riposare.

La domanda è ancora una volta a trabocchetto. Se Yeshua avesse risposto ciò che tutti sapevano “il sabato”, il dottore della legge gli avrebbe potuto rispondere: Perché allora non lo rispetti? Se Yeshua, invece, avesse risposto in maniera diversa, sarebbe passato come un ignorante e un non conoscitore della legge.

La risposta di Yeshua è geniale e si rifà sempre alla Sacra Scrittura, o meglio alla preghiera che gli ebrei recitavano due volte al giorno, il loro “Credo”: Il primo è: Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio è l’unico Signore e amerai il Signore tuo Dio con il tuo cuore intero e con la tua anima intera, con la tua mente intera e con la tua forza intera (cfr. Dt 6,4-9). E il dottore non può che essere d’accordo: amare Dio, in fin dei conti non è difficile perché nessuno lo può dimostrare e verificare. Ma Yeshua aggiunge: Il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (cfr. Lv 19,18).

Ecco che il Signore e Maestro lega l’amore di Dio all’amore del prossimo. E questo significa che non si può amare Dio senza amare veramente le persone. Inoltre che ciò che si prega va vissuto e agito, non solo professato.

L’amore per il prossimo è la misura dell’amore che si ha per Dio. L’amore per il prossimo indica il livello della preghiera. L’amore per il prossimo passa attraverso l’amore di sé. L’amore per se stessi collega a Dio in quanto permette di rimanere nello stato di grazia e di gratitudine. Anche lo stesso scriba è pronto a confermare e a fare proprie le due procedure principali offerte dal Signore della vita all’umanità. Per questo le ripete di fronte a Yeshua e, probabilmente, anche dentro di sé, avvicinandosi così al regno di Dio. Dopodiché non ci sono altre parole da aggiungere: E nessuno osava più interrogarlo (Mc 12,34).


 

Vangelo del giorno

Allora avvicinatosi uno degli scribi che li aveva sentiti discutere e, visto che Yeshua aveva risposto loro bene, lo interrogò: Qual è il primo di tutti i comandamenti?
Yeshua rispose: Il primo è: Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio è l’unico Signore e amerai il Signore tuo Dio con il tuo cuore intero e con la tua anima intera, con la tua mente intera e con la tua forza intera.
Il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Non c’è altro comandamento più grande di questo.
E gli disse lo scriba: Bene, maestro, con verità hai detto che Egli è uno solo e non c’è un altro eccetto Lui, e amarlo con l’intero cuore e con l’intera intelligenza e con l’intera forza e amare il prossimo come se stesso è più di tutti gli olocausti e i sacrifici.
E Yeshua, vedendo che aveva risposto intelligentemente, gli disse: Non sei lontano dal regno di Dio.
E nessuno osava più interrogarlo.

Mc 12,28-34


 

Preghiera

Benedetto Dio, ora e per sempre.

Benedetto Yeshua, il Cristo, vero Dio e vero uomo.
Benedetto il Nome di Yeshua.

Benedetto il suo sacratissimo Cuore.

Benedetto il suo preziosissimo Sangue.

Benedetto Yeshua, presente nel santissimo

Sacramento dell’altare.

Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Benedetta la Madre dell’umanità, Maria Santissima.

Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Benedetta la sua gloriosa Assunzione.

Benedetto il Nome di Maria, vergine e madre.

Benedetto Dio nei angeli e nei suoi santi.

Benedetta sei tu santissima Trinità, ora e per sempre.

San Carlo Borromeo

Nato ad Arona nel 1538 e nipote di papa Pio IV, Carlo Borromeo fu nominato, dallo stesso pontefice, cardinale diacono col titolo di Santa Prassede e segretario di Stato (fu il primo in senso moderno) a soli ventun anni. Pur restando a Roma a dirigere gli affari inerenti alla sua qualifica, ebbe il privilegio di amministrare da lontano l’arcidiocesi di Milano. Morto il fratello maggiore egli rinunciò definitivamente al titolo di conte e alla successione, preferendo essere ordinato, a ventiquattro anni, prima sacerdote e poi vescovo.

Due anni dopo, con la morte del Santo Padre, Carlo lasciò definitivamente Roma per essere accolto trionfalmente nella sua sede episcopale milanese, dove rimase fino alla morte, che lo colse a soli quarantasei anni. In una diocesi in cui i confini racchiudevano popolazioni lombarde, venete, svizzere, piemontesi e liguri, San Carlo si prodigò per essere presente dovunque. Il suo stemma portava questo semplice motto: Humilitas.

E fu questa la scelta di vita con cui impregnò i vari campi del suo apostolato: Carlo, infatti, nobile e ricchissimo, si era privato di tutto per vivere a contatto con il popolo di Dio, ascoltandone bisogni e confidenze. Definito da tutti Padre dei poveri, lo fu realmente. Profuse i propri beni nella costruzione di ospedali, ospizi, case di formazione per il clero, mentre portava avanti le riforme suggerite dal Concilio di Trento, di cui fu uno dei principali protagonisti. Animato da un sincero spirito di riforma, riportò anche una severa disciplina nel clero e nella vita religiosa, mai preoccupato delle ostilità che gli procuravano coloro che non erano propensi a rinunciare a certi privilegi.

Fu anche vittima di un vile attentato mentre pregava nella sua cappella, ma ne uscì illeso, perdonando liberamente e gratuitamente l’attentatore. Sempre portando avanti le riforme del Concilio si dovette scontrare anche con il governatore spagnolo. Durante la terribile epidemia di peste, esplosa nel 1576 e protrattasi per molto tempo, San Carlo si impegnò con tutte le sue energie a elargire una carità senza precauzioni. Poi la sua robusta fibra cedette sotto il peso di tanta fatica. Morì il 3 novembre del 1584 e fu canonizzato il 1° novembre del 1610 da papa Paolo V. Uomo di grande statura umana e spirituale è ancora un segno per i nostri tempi.


 

Vangelo del giorno

Diceva Yeshua poi a chi l’aveva invitato:
Quando fai un pranzo o una cena, non chiamare i tuoi amici né i tuoi fratelli,
né i tuoi parenti, né i vicini ricchi, affinché anche essi non ti invitino a loro volta
e te ne venga un contraccambio.
Invece quando fai un ricevimento chiama i poveri, storpi, zoppi, ciechi:
e beato sarai perché non hanno da contraccambiarti,
infatti ti sarà contraccambiato nella risurrezione dei giusti.

Lc 14,12-14


 

Preghiera di Madre Teresa di Calcutta

Trova il tempo di pensare,
trova il tempo di pregare,
trova il tempo di ridere:

è la fonte del potere,

è il più grande potere sulla Terra,

è la musica dell’anima.

Trova il tempo per giocare,

trova il tempo per amare ed essere amato,
trova il tempo di dare:

è il segreto dell'eterna giovinezza,

è il privilegio dato da Dio;

la giornata è troppo corta per essere egoisti.

Trova il tempo di leggere,
trova il tempo di essere amico,

trova il tempo di lavorare:

è la fonte della saggezza,

è la strada della felicità,

è il prezzo del successo.

Trova il tempo di fare la carità:
è la chiave del Paradiso.

Festa della dedicazione della Basilica Lateranense

All’inizio del IV secolo, Roma cominciò a cambiare il suo tradizionale aspetto architettonico grazie all’imperatore Costantino e alla sua attività edilizia. Egli fece costruire la basilica di San Giovanni in Laterano, durante il pontificato di papa Melchiade (311-314), con un battistero e un palazzo che divenne la residenza dei vescovi di Roma.

Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano è la madre di tutte le chiese dell’urbe e dell’orbe divenuta poi anche residenza pontificia. È il simbolo della fede dei cristiani nei primi secoli, che sentivano la necessità di riunirsi in un luogo comune e consacrato, e non più in case private, per celebrare la Parola di Dio e l’Eucaristia.

La dedicazione della basilica Lateranense commemora la consacrazione a Cristo Salvatore della chiesa cattedrale dei vescovi di Roma. Le prime tracce di questa commemorazione, voluta da san Silvestro, risalgono al pontificato di papa Alessandro III, ma già da tempo in vari luoghi il 9 novembre veniva celebrata la dedicatio S. Salvatoris in memoria del leggendario miracolo dell'immagine crocifissa del Salvatore a Beirut.

Secondo la leggenda, un cristiano che viveva nei pressi di una sinagoga di Beirut traslocò dalla sua abitazione dimenticando nell'edificio un'immagine sacra che rappresentava il Cristo nella sua interezza. L'edificio venne poi acquistato da un ebreo che non fece caso all'immagine, ma un suo ospite, notando l’icona, lo denunciò come sospetto apostata davanti agli anziani del sinedrio.

Gli ebrei fecero irruzione nella casa, si impadronirono dell'immagine e ripeterono su di essa tutti i tormenti che erano stati inflitti a Yeshua. Ma nel trafiggergli il costato, dal legno della tavola fuoriuscirono sangue e acqua in abbondanza. Il sangue effuso fu raccolto e diede inizio a numerosi miracoli ridando la salute a un paralitico e la vista a numerosi ciechi.

Dopo questi prodigi, la comunità ebraica di Beirut si rivolse al vescovo per ottenere il battesimo e, cosa mai avvenuta prima, trasformò la sinagoga in una chiesa intitolata al Salvatore. Le prime tracce di questo fatto risalgono al VI secolo in un testo, attribuito ad Atanasio, che fu citato da Pietro, vescovo di Nicomedia, al secondo concilio di Nicea del 787 e addotto come argomento a favore del culto delle immagini.

Tra il X e il XIII secolo il testo della leggenda conobbe una ricca circolazione in Europa occidentale subendo numerose alterazioni e aggiunte e, in questo tempo, venne indicato come giorno della consacrazione a Cristo Salvatore dell'ex sinagoga di Beirut il quinto giorno dalle idi di novembre, cioè il 9 novembre.

Nei più antichi codici che citano la festa del 9 novembre a Roma si parla di Salvatoris templi dedicationem o Dedicatio S. Salvatoris, senza alcun riferimento alla Basilica Lateranense. Tra l'XI e il XII secolo, in un'epoca di ridefinizione del ruolo pastorale e politico del pontefice, l'associazione tra questa festività e la basilica si fece più stretto.

In uno scritto composto per conto di papa Alessandro III, Giovanni Diacono attribuisce il merito dell'istituzione di questa solennità cristologica a san Silvestro, che avrebbe consacrato la basilica lateranense al Salvatore in tale data e, in quanto vicario dello stesso Salvatore, aveva concesso una grossa indulgenza a quanti l'avrebbero celebrata. Sempre secondo lo scritto di Giovanni Diacono, in occasione del rito di consacrazione, sarebbe apparsa su una parete della basilica la figura di Yeshua Salvatore.

Negli Atti del Martirio di S. Giustino e Compagni, alla domanda del prefetto sul luogo di riunione dei cristiani Giustino risponde: Dove ciascuno può e preferisce; tu credi che tutti noi ci riuniamo in uno stesso luogo, ma non è cosi perché il Dio dei cristiani, che è invisibile, non si può circoscrivere in alcun luogo, ma riempie il cielo e la terra ed è venerato e glorificato ovunque dai suoi fedeli. Yeshua, nostro Signore, rivolgendosi alla donna samaritana conferma questa verità e rivela al mondo che è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità
Gv 4,23-24.


 

Vangelo del giorno

Era vicina la pasqua dei Giudei, e Yeshua salì a Gerusalemme.
E trovò nel tempio i venditori di buoi, pecore e colombe e i cambiavalute seduti,
e avendo fatto una sferza di cordicelle scacciò tutti dal tempio, anche le pecore e i buoi,
e sparse la moneta dei cambiavalute e rovesciò i tavoli, e disse ai venditori di colombe:
Togliete queste cose di qui, non fate della casa del Padre mio una casa di mercato.
Si ricordarono i suoi discepoli che sta scritto: Lo zelo della tua casa mi divorerà.
Risposero dunque i Giudei e gli dissero: Quale segno ci mostri poiché fai queste cose?
Rispose Yeshua e disse loro: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo innalzerò.
Dissero allora i Giudei: In quarantasei anni fu costruito questo tempio e tu in tre giorni lo innalzerai?
Egli però parlava del tempio del suo corpo.
Quando dunque risuscitò dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo
e credettero alla scrittura e alla parola che aveva detto Yeshua.

Gv 2,13-22


 

Preghiera

Signore Yeshua abbiamo capito che questa è l’ora di adorare Dio
e di viverlo superando il riferimento a istituzioni religiose strutturate
o a spiritualismi rarefatti e indecifrabili,
imparando ad amarlo guidati solamente dalla tua presenza nel nostro cuore.

Questo è un nuovo rapporto che partendo da dentro non esclude la realtà sociale
ma certamente non vuole essere più condizionato
dalle convinzioni e convenzioni del mondo.

Questa è l’ora, Signore, di adorare Dio nella Verità,

ovvero nella coerenza reale tra ciò che diciamo di credere

con le nostre azioni e le scelte di ogni giorno.

Vogliamo rendere gloria al Padre,

attraverso azioni di amore reale e di giustizia vera,

mettendo da parte le nostre sante intenzioni
e abbandonando il nostro pigro “mischiarci” di parole.

Signore vogliamo ritornare ad essere autonomi,
per avere in noi un buon baricentro e un’ottima forza e resistenza,
che sappia far fronte ai pesi imposti dal mondo.

Desideriamo rimanere elastici e non bloccati dalla durezza del giudizio,
per conservare in noi la tua bellezza.

Signore educaci alla capacità di interdipendenza con gli altri,
a saper costruire relazioni nuove per saperci interfacciare, unire, affiancare,

senza mescolanza, senza confusioni o sostituzioni,
lontani dalla mentalità di delega,
per esserci senza apparire, per servire senza pretendere.

Non saranno più le chiacchiere, i proclami, i riti, le tradizioni,
l’appartenenza a istituzioni ufficiali o a qualche gruppo a definire la nostra identità,
ma l’adorare di cuore Dio, senza confini e recinti,
nella coerenza delle nostre azioni volte a incarnare l’amore e la giustizia
a costo anche della vita, di persecuzioni, di calunnie, di perdita di beni terreni,
perché ciò che conta è camminare accanto a Te.

Amen.

XXXII Domenica del Tempo ordinario - anno B
 

Yeshua si trova nel tempio per guardare e osservare quello che accade. Perché se uno ha gli occhi aperti può vedere un sacco di cose. Perché imparando a guardare, senza giudicare, si può intravedere la gente per quello che è, al di là di quello che dice o fa. Mentre gli uomini del tempo adulavano gli scribi, Yeshua afferma senza battere ciglio che essi sono falsi e ipocriti!. Mentre la folla vede una povera vedova pensando che non conti nulla nella società, Yeshua dice: Qui c’è vita, qui c’è il tutto. Per questo egli invita i discepoli a stare attenti, a guardarsi bene dal non farsi ingannare dalle apparenze.

La domanda è: Che cosa o chi guardiamo noi? Da cosa ci siamo lasciati abbagliare? Chi stiamo ammirando?

Da che mondo è mondo il potere ha sempre esercitato un gran fascino. Essere riconosciuti e famosi è un richiamo forte per tutti, ma poiché nel mondo questo riguarda solo pochi, gli altri che non possono si limitano ad invidiare. Anche a quel tempo essere scribi era come essere una star. Purtroppo la gente era così cieca da non vedere che dietro l’immagine non c’era nulla da vedere. La ragione per cui uomini come gli scribi fanno di tutto per non perdere la loro immagine è perché altrimenti dovrebbero fare l’amara scoperta che dietro ad essa si nasconde il nulla, non c’è personalità.

Si tratta di uomini di cartapesta che però hanno una resistenza incredibile: non cambiano, non si mettono veramente in gioco, mai. E quando non hanno successo si elevano giudicando. Giudicare è un modo per abbassare gli altri, per ridurli alle proprie dimensioni.

Ma essere individui veri non vuol dire essere fuori, sopra gli altri, ma differenziarsi, essere unici. Gli scribi, come i personaggi famosi, parlavano delle loro imprese: leggevano la Torah, osservavano tutte le leggi, erano scrupolosi in tutto, pregavano più volte al giorno. Ma non c’era vita vera in loro. Essere vivi vuol dire che gli occhi sono luminosi, che i sentimenti fluiscono, che si ascolta con interesse, che ciò che si dice ha un senso e non è banale; che c’è spazio per sé e per l’altro, che si è amabili; che non si ha bisogno di attaccare, né di difendersi, né di elevarsi o di umiliarsi; che si è persone vibranti e che si sa ciò che si vuole e ciò che non si vuole.

Invece essere vedove al tempo voleva dire non avere sostentamento, né reddito: le donne non lavoravano e dovevano vivere di elemosina, di carità, di quello che gli altri davano loro. Le vedove vivevano mendicando. Non avevano niente di niente se non due tre figli da nutrire, sempre affamati. È molto probabile che i due spiccioli della vedova non fossero altro che il frutto della sua giornata di elemosina. Quella donna, allora, agli occhi superficiali aveva donato poco, un’inezia. Ma ad occhi profondi quella donna, invece, dona proprio tutto quello che ha.

Dio non vuole mai qualcosa di noi, vuole noi. Dio vuole stare al centro della nostra vita. Dio desidera che noi, per Lui, ci mettiamo in gioco del tutto. Vuole che per Lui noi cambiamo il nostro modo di pensare, di relazionarci, di amare, di vivere, di concepire la nostra fede, che diamo un ordine diverso alle nostre priorità.

Se non fosse stato per lo sguardo di Yeshua, nessuno mai avrebbe saputo di questa donna. Quello che per gli altri era insignificante, banale senza valore, non lo era per Lui. È proprio vero che tutto risplende nella luce sua.


 

Vangelo del giorno

E nel suo insegnamento diceva ancora: Guardatevi dagli scribi e da coloro che vogliono camminare in vesti lunghe, che vogliono i saluti nelle piazze, i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti, da coloro che divorano le case delle vedove e in apparenza pregano a lungo.
Ed essendosi seduto di fronte alla cassa delle offerte osservava come la gente vi gettava dentro denaro e molti ricchi ne gettavano molto.
E giunta una vedova povera gettò due spiccioli, cioè un quadrante.
Chiamati a sé i suoi discepoli disse loro: Amen vi dico, questa vedova povera ha gettato nella cassa delle offerte più di tutti gli altri.
Tutti infatti hanno gettato dal loro sovrabbondante, lei invece dalla sua indigenza ha gettato tuto quanto aveva, la sua vita intera.

Mc 12,38-44


 

Preghiera di Madre Teresa di Calcutta

Signore, quando avrò fame,
dammi qualcuno che ha bisogno di mangiare;
Signore, quando avrò sete,
dammi qualcuno che ha bisogno di acqua;
Signore, quando avrò freddo,
dammi qualcuno che ha bisogno di calore.
Signore, quando soffrirò,
dammi qualcuno che ha bisogno di consolazione.
Signore, quando la croce dell’ego imperversa su di me,
ponimi davanti un bambino da accogliere.
Signore, quando mi sentirò povera,
mettimi al fianco di qualcuno più bisognoso.
Signore, quando vorrò che gli altri mi comprendano,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia comprensione.
Signore, rendimi degna, di servire i fratelli,
dà loro, attraverso queste mani,
non solo il pane di tutti i giorni,
ma anche l’amore misericordioso,
immagine del tuo. Amen.

San Martino di Tours

Martino, nato nella Pannonia, odierna Ungheria, nel 316 è figlio di un militare pagano che gli pone questo nome votato a Marte, il dio della guerra. A quindici anni è costretto dalla legge ad entrare nell’esercito, assegnato alla guardia imperiale a cavallo e a indossarne l’uniforme composta da un particolare elmo a cresta, lo scudo, la spada e la clamide, ovvero un grande mantello bianco foderato, di pelle di pecora nella sua parte superiore. Viene inviato nelle Gallie, prima a Reims e poi ad Amiens.

In una notte fredda l’ufficiale Martino è di ronda - faceva infatti parte delle truppe non combattenti che garantivano l'ordine pubblico, la protezione della posta imperiale, il trasferimento dei prigionieri e la sicurezza di personaggi importanti - quando alla porta della città intravede, come spesso accadeva, un mendicante, un uomo semi-nudo che chiede aiuto ai passanti per non morire congelato dal freddo. Il giovane diciottenne, non avendo con sé né soldi, né viveri, si ferma e con grande decisione estrae la spada e divide a metà la clamide, donandone una metà al povero e rivestendosi dell’altra.

In quell’inverno del 338 Martino si stava preparando al battesimo cristiano per servire Dio da più vicino e lasciare così l’esercito, anche se la cosa non era facilmente realizzabile, visti i suoi doveri militari. La notte seguente all’evento del povero mendicante vede in sogno Yeshua, rivestito della metà del suo mantello militare, che dice ai suoi angeli: Martino, il soldato romano catecumeno, egli mi ha vestito. Quando Martino si risveglia trova il suo mantello integro: questo gesto diventerà perciò decisivo per il suo compito di vita.

Martino viene battezzato nella Pasqua seguente ma rimane ufficiale dell'esercito per altri anni finché, a quarant'anni, decide di lasciare definitivamente l’ambiente militare, per dedicarsi a una vita più eremitica sull'Isola Gallinara ad Albenga dove si nutre di galline selvatiche e di elleboro, una pianta che ignorava fosse velenosa, da cui si dice viene miracolato. Rientrando a Poitiers, terminato il tempo delle eresie, al rientro del vescovo cattolico, diviene monaco, presto seguito da nuovi compagni con cui fonda uno dei primi monasteri d'occidente, a Ligugé, sotto la protezione del vescovo Ilario.

Nel 371 i cittadini di Tours lo vogliono come loro vescovo, anche se alcuni chierici si oppongono per il suo aspetto trasandato e le origini plebee. Come vescovo, Martino continua ad abitare nella sua semplice casa di monaco e prosegue la sua missione di propagatore della fede, difensore dalle eresie e dal paganesimo, creando nel territorio nuove piccole comunità di monaci. Conosciuto come taumaturgo a lui si attribuiscono diversi segni ed episodi particolari.

Un giorno, dopo aver donato la propria veste a un povero, non aveva fatto in tempo ad indossarne un’altra, cosicché all’elevazione, durante la celebrazione eucaristica, si vedono alzarsi verso il cielo due braccia nude, subito coperte da un globo di fuoco divino. Un’altra volta, in viaggio verso Roma con il vescovo di Treviri, mentre percorrevano un sentiero di montagna, un orso lì aggredì uccidendo il loro asino. Martino lo punì costringendolo a portare i loro bagagli fino a destinazione.

Martino fonda a Tours un monastero, il Maius monasterium, che diventa, per qualche tempo, la sua residenza, dove la vita era incentrata, come in tutte le sue comunità, nella condivisione, nella preghiera e nell'impegno di evangelizzazione. Torna alla Casa del Padre l'8 novembre del 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale. La generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica ai beni del mondo, l'attività missionaria e la vita di comunità diventano il suo lascia passare per il regno della gioia.


 

Vangelo del giorno

Disse ai suoi discepoli: è impossibile che non avvengano scandali, ma guai a colui a causa del quale ciò avviene: è meglio per lui se una pietra da macina gli viene posta intorno al collo ed è gettato nel mare piuttosto che scandalizzi uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi! Se tuo fratello pecca riprendilo e se si converte condona a lui; e se pecca sette volte al giorno contro di te e anche sette volte ritorna da te dicendo: Mi pento, tu gli condonerai. E dissero gli apostoli al Signore: Accresci in noi la fede. Allora disse il Signore: Se avete fede come un chicco di senape, direte a questo sicomoro: Sradicati e piantati nel mare; e vi obbedirà.
Lc 17,1-6


 

Preghiera

Beato Martino, servo fedele, testimone del Vangelo,
pastore della Chiesa di Yeshua,

ricordaci il modo primo
per accedere al regno della Gioia: l’amore.

Tu che sapevi stare alla presenza di Dio
nel grande silenzio delle notti solitarie,

mostraci come rimanere perseveranti
nella fede amante e nella preghiera del cuore.

Tu che hai saputo donare al povero il tuo mantello,

spronaci a compiere gesti gratuiti e di condivisione
verso l’umanità bisognosa.

Tu che percorrendo i villaggi e le campagne
non hai mai ceduto alle lusinghe del demonio,
che lì spesso si manifestava,
insegnaci a riscoprire la bellezza
di essere custoditi e protetti dalle mani di Dio,
unica possibilità per superare ogni tentazione del mondo.

Tu che hai imparato ad accettare i pesi e le avversità dell’Ego,

fatto di aspettative altrui,
ispiraci a desiderare i desideri del Padre.

Ora che nella gloria del cielo godi

del riposo pacifico nella casa di Dio,

indicaci ancora l’unica via
per raggiungere e conoscere l’eterna beatitudine,
Yeshua, il Cristo nostro Signore. 

Amen.

 

Santo Giosafat

Giovanni Kuncewicz nacque nel 1580, da famiglia ortodossa separata, in Rutenia, antica regione orientale della Cecoslovacchia, ma che ora fa parte della Russia. Sotto la spinta dei gesuiti, con la collaborazione del re Sigismondo III e l’approvazione di Clemente VIII, si tentò, in questa regione, l’unione della chiesa greca con quella latina. Si mantennero i riti e i sacerdoti ortodossi, ma si ristabilì la comunione con Roma. Questa chiesa fu detta “Uniate” e Giovanni, che prese il nome di Giosafat (nome biblico della valle del Cedron, dove, secondo il profeta Gioele, converranno le anime per il giudizio finale) divenne un suo grande difensore.

Entrato, a 20 anni, nel convento della Santissima Trinità a Vilnius, come primo novizio del primo monastero basiliano unito, si dedicò con grande zelo alla predicazione per convertire i fratelli separati. Priore, abate e nel 1607 Arcivescovo di Polozk, lavorò instancabilmente per l’unità della Chiesa e per la riforma monastica, promuovendo l’espansione e la fedeltà evangelica della chiesa Uniate.

La sua predicazione produsse numerosissime conversioni, suscitando violente reazioni tra la nobiltà rutena e anche tra il popolo, che temeva il cambiamento del rito nazionale in quello romano. Ma Giosafat unì sempre alla perfetta fedeltà alla chiesa di Roma il pieno e sincero amore per la tradizione liturgica bizantina. Per queste sue idee ecumeniche, in un momento politico un po’ torbido, il 12 novembre 1623, a Vitabok, fu assassinato da un gruppo di facinorosi scismatici che infierirono barbaramente su di lui fino a farlo morire.

Giosafat è uno dei santi che si adoperò, con tutte le sue forze, per l’unità dei cristiani d’Oriente ed è l’unico che rappresenti la Russia nel calendario romano È stato canonizzato nel 1867. Il suo corpo riposa nella basilica vaticana, presso la tomba di san Pietro.


 

Vangelo del giorno

Ora chi tra voi, se ha un servo che ara o che pascola, gli dirà quando torna dal campo: Vieni, adagiati subito a tavola?
Non gli dirà invece: Prepara qualcosa per cenare e dopo esserti cinto servimi affinché io mangi e beva, e dopo questo mangerai e berrai tu?
Forse che ha riconoscenza verso il servo perché ha fatto le cose che gli sono ordinate?
Così anche voi, quando fate tutte le cose che vi sono state ordinate dite:
Siamo servi non necessari, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare.

Lc 17,7-10


 

Preghiera

Cristo non ha mani
ha soltanto le nostre mani
per fare oggi il suo lavoro.

Cristo non ha piedi
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini sui suoi sentieri.

Cristo non ha labbra
ha soltanto le nostre labbra
per raccontare di sé agli uomini di oggi.
Cristo non ha mezzi
ha soltanto il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé oggi.

Noi siamo l'unica Bibbia
che i popoli leggono ancora
siamo l'ultimo messaggio di Dio
scritto in opere e parole.

Trentatreesima domenica del Tempo ordinario -  anno B

Al tempo di Yeshua la situazione era davvero insostenibile: i Romani dominavano e non erano affatto teneri. Ogni volta che gli ebrei tentavano di rialzare il capo, i governatori romani con crudeltà e sadismo reprimevano tutto. Gli ebrei erano coscienti di non aver nessuna possibilità di ribellarsi alla loro dominazione. E quando non si hanno in sé le forze per cacciare il nemico si comincia a pregare e a invocare un intervento prodigioso dall’esterno.

Così gli ebrei cominciarono ad attendere il Messia politico e religioso che sarebbe venuto e avrebbe sistemato all’esterno la situazione con i Romani, e all’interno, tutte le ingiustizie dei “potenti” e dei capi religiosi. L’avvento  del Figlio dell’Uomo sarebbe stato necessario per ordinare e riorganizzare le cose secondo giustizia.

È sempre così: quando un’epoca è angosciata e non sente di avere in sé le forze per uscirne allora chiama in causa la fine del mondo, la terza guerra mondiale, qualcosa di terribile, la crisi internazionale oppure si lascia ipnotizzare da profezie varie.

Anche alla morte di Yeshua i cristiani si dicevano: “E’ tutto finito!”. Veramente un mondo sembrava finire e disperdersi. Sembrava… ma non fu così! Perché dalla morte e risurrezione del Signore nacque qualcosa di unico, di incredibile, di meraviglioso.

Non era migliore la situazione nemmeno al tempo in cui i vangeli venivano scritti: veramente sembrava che il cristianesimo potesse finire; che tutto il mondo si scagliasse contro i cristiani; veramente c’era angoscia, sofferenza, odio, morte e persecuzione. Stiamo parlando degli anni in cui ci furono le persecuzioni di Nerone (54-68 d.C.) e Domiziano (69-79 d.C. per). Tutto il mondo sembrava avercela con i cristiani: per questo c’era bisogno di parole di consolazione che richiamassero in causa la venuta del Figlio dell’Uomo con potenza, gloria e con i suoi angeli, perché i cristiani potessero sentirsi consolati, non abbandonati e continuare a lottare in situazioni dure e di crisi.

Il vangelo di oggi presenta immagini apocalittiche. Non descrivono la fine del mondo, il futuro o ciò che accadrà. Descrivono il presente, o meglio la fine di un mondo e raccontano le ansie, le difficoltà, le angosce che si possono vivere in quel preciso momento. L’apocaliitca è un genere letterario tipico del tempo, quindi più che tentare di vedere in queste parole “profezie” dell’arrivo della fine del mondo, sprona a prepararsi e a organizzarsi per saper oltrepassare i tempi bui.

Queste parole allora intendono dire: Sì è vero, adesso state soffrendo molto ingiustamente. Ma non preoccupatevi, Dio è con voi, Dio non vi ha abbandonato, anzi tutto questo è solo un passaggio, rimanete fedeli e vigilanti. Non lasciatevi traviare da ciò che succede e, nonostante ciò che succede attorno a voi, rimanete saldi e ancorati nella vostra fede. Non dubitate mai, perché l’ultima Parola è il Bene. Adesso il male sembra dominare: ma non preoccupatevi, è solo passeggero, perché Yeshua, il Cristo, è più forte di ogni cosa. E si ricordava in questo modo la sua Passione. Anche allora Dio sembrava aver abbandonato suo Figlio. Sembrava, ma non fu così. E quando tutto finì, tutto ricominciò.

E’ autunno: tutto muore, tutto passa, tutto si trasforma. Se noi ci fermassimo a quello che succede diremmo: è la fine. Ma noi sappiamo, l’esperienza ce lo insegna, che non è la fine. Sappiamo che dopo l’autunno e l’inverno ritornerà un’altra volta la primavera e l’estate; sappiamo che dopo ogni notte ritorna il giorno e che dopo ogni pioggia ritorna il sole. Vale per ogni cosa: una catastrofe nasconde sempre una perla e un tesoro.


 

Vangelo del giorno

Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà il suo splendore e gli astri saranno cadenti dal cielo e le potenze, quelle nei cieli, saranno scosse.
E allora vedranno il Figlio dell’uomo giungere in nubi con molta potenza e gloria.
E allora invierà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dal fico imparate questa parabola.
Quando già il suo ramo diventa tenero e germina le foglie, conoscete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, conoscete che è vicino, alle porte.
Amen dico a voi che non passerà affatto questa generazione prima che avvengano tutte queste cose.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno affatto.
Poi circa quel giorno o l’ora nessuno sa, né gli angeli in cielo, né il Figlio, se non il Padre.

Mc 13,24-32


 

Preghiera

È notte, l’immensa notte delle origini
e non esiste altro che Amore all’orizzonte:

Dio separa l’asciutto dalle acque
e, come una culla, prepara la Terra dove prendere dimora.

È notte, la chiara notte di Betlemme,
e non esiste altro che il Figlio fatto uomo:

Dio s’incarna nella nostra umanità
trasformando i nostri deserti
in terra di immortale primavera.

È notte, la strana notte sul Calvario,

e non esiste altro che il Corpo sfregiato da spine:
Dio ancor più uomo sulla croce
come un giardino feconda la Terra,
dove la morte cerca di rinchiudere il divino.

È notte, la santa notte che s’illumina;

e non esiste altro che il Cristo uomo nuovo:

Dio si strappa dal cappio della tomba
per condurre la Terra in cui era disceso
a una nuova esistenza che profuma di gioia.

È notte, la lunga notte in cui ancora vaghiamo
e non esiste altro che questo mondo di rovine:
Dio si ferma nelle nostre case
e come un roveto prepara la Terra
che oramai è pronta ad avvampare.

Signore, purifica e riscatta la notte di chi cede alle tenebre e al male,
benedici e feconda la notte
di chi è in pace con Te, con se stesso e con gli altri
e nutre nel cuore il desiderio di ricominciare, stando dalla tua parte,

quella della vita che dura per sempre nella Terra promessa.

Amen.

Presentazione della Beata Vergine Maria

Il ciclo delle feste mariane che celebrano la nascita di Maria l’8 settembre, il suo nome il 12 e oggi la presentazione al tempio della figlia prediletta di Dio, sono un’eco del ciclo cristologico, che in egual modo celebra il 25 dicembre la nascita di Yeshua, otto giorni dopo il suo Santissimo Nome, e il 2 febbraio la sua presentazione al tempio.

La presentazione di Maria al tempio ha origini devozionali e si collega a una tradizione attestata dal protovangelo di Giacomo. Questo evento è celebrato in Oriente dal V secolo ed è legato alla dedicazione della Chiesa di Santa Maria Nuova costruita presso il muro del tempio di Gerusalemme nel 543. L’occidente sposa questa tradizione solo nel secolo XIV per portare alla luce la prima donazione totale che Maria fece di sé, divenendo così il modello di ogni anima che si consacra al Signore
L’Imperatore di Bisanzio, Michele Commeno, ne parla in una sua costituzione del 1166.

Filippo di Maizières, gentiluomo francese cancelliere presso la corte del Re di Cipro, essendo stato inviato come ambasciatore ad Avignone presso il Papa Gregorio XI nel 1372, gli narrò con quale magnificenza, si celebrasse presso i Greci, il 21 novembre, in onore della Madre di Dio. Gregorio XI introdusse allora questa festa ad Avignone, Sisto V la rese obbligatoria per tutta la Chiesa, nel 1585, mentre Clemente VIII ne rielaborò l’Ufficiatura.

L’evangelista Luca, al capitolo 2, in occasione della presentazione di Yeshua al tempio racconta di Anna, una profetessa figlia di Fanuel, della tribù di Aser, che nei suoi ottantaquattro anni prestava servizio al tempio. Come lei anche Maria è stata condotta giovanissima a vivere presso il luogo sacro, in una totale offerta a Dio, in quale altro modo si potrebbe sennò spiegare la conoscenza biblica che manifesta nel Magnificat.

Maria, nata da un padre sacerdote, è stata consacrata al tempio fin dalla sua tenerissima età, proprio come altre vergini erano destinate al servizio di Dio.
Giustamente il 21 novembre, i consacrati possono celebrare con gioia anche la loro festa: essere con Maria, tutti di Dio per adorare Lui solo e mantenersi fedeli alla sequela di Yeshua, il Cristo.


 

Vangelo del giorno

E quando si avvicinò, vedendo la città pianse su essa dicendo: Se anche tu conoscessi in questo giorno le cose che sono per la pace.
Ma adesso è stato nascosto ai tuoi occhi perché verranno giorni su te e i tuoi nemici allestiranno palizzate e ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte e abbatteranno te e i tuoi figli in te e non lasceranno pietra su pietra in te poiché non hai conosciuto il tempo della tua visita.

Lc 19,41-44


 

Antica preghiera dedicata alla Vergine Maria

Onore a te, stella del mare, madre gloriosa di Dio, 
Vergine sempre, Maria, porta felice del cielo. 

Il chaire del messo celeste porta l'annunzio di Dio, 
mutando la sorte di Eva, recando al mondo la pace. 

Spezza i legami agli oppressi, rendi la luce ai ciechi, 
scaccia da noi ogni male, chiedi per noi ogni bene.

Mostrati Madre per tutti, porta la nostra preghiera, 
Cristo Yeshua l'accolga benigno, lui che si è fatto tuo Figlio. 

Vergine santa fra tutte, dolce regina del cielo, 
rendi innocenti i tuoi figli, umili e puri di cuore. 

Donaci giorni di pace, veglia sul nostro cammino, 
fa’ che vediamo il tuo Figlio, pieni di gioia nel cielo. 

Gloria all'altissimo Padre, Gloria al Cristo Signore, 
Gloria allo Spirito Santo, salga alla Santa Trinità l'inno di fede e di amore. 
Amen

Santa Cecilia

Cecilia, nacque da una nobile famiglia a Roma e sposò il nobile Valeriano. Si narra che nel giorno delle nozze nella sua casa risuonassero organi e lieti canti ai quali la vergine, accompagnandosi, cantava nel suo cuore: Conserva o Signore immacolati il mio cuore e il mio corpo, affinché non resti confusa. Da qui deriva il suo titolo di protettrice dei musicanti.

Dopo aver confidato allo sposo questo voto, quest’ultimo si convertì al cristianesimo e nella prima notte di nozze ricevette il battesimo per mano del pontefice Urbano I. Tornato nella propria casa, Valeriano vide Cecilia prostrata nella preghiera con un giovane: era l'angelo che da sempre vegliava su di lei. Insospettito, chiese una prova dell'effettiva natura angelica di quel giovinetto. Fu subito esaudito perché questi fece apparire due corone di fiori e le pose sul capo dei due sposi. Ormai credente convinto, Valeriano pregò che anche il fratello Tiburzio ricevesse la stessa grazia e così avvenne.

Ora, nonostante il giudice Almachio avesse proibito, tra le altre cose, di seppellire i cadaveri dei cristiani, i due fratelli convertiti alla fede si dedicavano alla sepoltura di tutti i poveri corpi che incontravano lungo la loro strada. Vennero così arrestati e dopo aver redento l'ufficiale Massimo che aveva il compito di condurli in carcere, sopportarono atroci torture anziché rinnegare Dio: per tale ragione furono decapitati.

Cecilia pregò sulla tomba del marito, del cognato e di Massimo (santi venerati il 14 aprile), anch'egli ucciso perché divenuto cristiano, ma poco dopo venne chiamata davanti allo stesso giudice che ne ordinò la morte per bruciatura. Si legge che "la Santa invece di morire cantava lodi al Signore". Convertita la pena per asfissia in morte per decapitazione, il carnefice vibrò i tre colpi legali (era il "contratto" dei boia per ogni uccisione) ma Cecilia non morì, restando agonizzante per tre giorni. Dopodiché papa Urbano I, sua guida spirituale, le rese una degna sepoltura presso le catacombe di San Callisto.

La Legenda Aurea narra che papa Urbano I, che aveva convertito il marito di lei Valeriano ed era stato testimone del suo martirio, «seppellì il corpo di Cecilia tra quelli dei vescovi e consacrò la sua casa trasformandola in una chiesa, così come gli era stato chiesto».

Nell'821 papa Pasquale I fece trasalire le sue spoglie nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere. Nel 1599, durante i restauri della basilica, ordinati dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati, in occasione del giubileo del 1600, venne ritrovato un sarcofago con il corpo di Cecilia incorrotto ed emanante profumo di gigli e di rose.

Il cardinale allora commissionò a Stefano Maderno una statua che riproducesse quanto più fedelmente l'aspetto e la posizione del corpo di Cecilia così com'era stato ritrovato con la testa girata per la decapitazione, tre dita della mano destra a indicare la Trinità, un dito della sinistra a indicare Dio: la statua che oggi si trova sotto l'altare centrale della chiesa.

 

Vangelo del giorno

Ed essendo entrato nel tempio cominciò a cacciare coloro che vendevano dicendo loro: è scritto:
E sarà la mia casa casa di preghiera, però voi avete fatto di essa una spelonca di ladri.
E insegnava ogni giorno nel tempio.
Ma i sommi sacerdoti e gli scribi lo cercavano per ucciderlo, anche i primi del popolo,
e non trovavano cosa fare, infatti tutto il popolo rimaneva sospeso mentre lo ascoltava.

Lc 19,45-48


 

Preghiera

Spirito di Yeshua, il Cristo, santificami.

Corpo di Yeshua, il Cristo, salvami.

Sangue di Yeshua, il Cristo, inebriami.

Acqua del costato di Yeshua, il Cristo, lavami.

Passione di Yeshua, il Cristo, confortami.

Yeshua, tu che sei il Cristo, bel Pastore,
fa’ che io accordi le mie preghiere sui desideri di Dio Padre;

non permettere che io mi separi da te;

difendimi dal nemico maligno.

Nell’ora del passaggio chiamami,

attirami a Te perché io possa lodarti,

ora e per sempre,
con tutti gli angeli e i santi. Amen.

Trentaquattresima Domenica del Tempo ordinario - anno B

Cristo re dell’universo


Oggi la chiesa celebra la chiusura dell’anno liturgico e la solennità di Cristo Re. Si chiude così l’anno ecclesiale. Anno vuol dire ruota, cerchio. Il diminutivo annulus invece porta il significato di anello (che è tondo, circolare). Solenne (sollus-annus) vuol dire una sola volta all’anno. Anniversario (annus+versus) sta ad indicare qualcosa che si rinnova e si svolge ogni anno.

La ruota, il cerchio, non ha né inizio né fine. È il grande pericolo della vita: passano gli anni e noi ci ritroviamo a fare sempre le solite cose ma senza evolvere e crescere, senza una maturazione o una progressione dentro di noi. Così gli anni diventano routine, abitudine e la vita diventa piatta e noiosa. Se siamo rimasti gli stessi dello scorso anno, abbiamo perso un anno di vita! Ciò che è successo non ci è servito, non abbiamo imparato nulla. Se il nostro modo di pensare è lo stesso di cinque anni fa, abbiamo perso altrettanti anni di vita.

Se amiamo la nostra compagna o il nostro compagno come il primo giorno, stiamo solo ripetendo. E se la nostra fede è rimasta come quando avevamo otto anni e andavamo al catechismo, allora Dio non l’abbiamo mai incontrato. La gente è fin troppo preoccupata di dare anni alla vita ma sarebbe meglio dare vita gli anni, perché è più importante come viviamo che quanto viviamo.
Oggi perciò potremo porci queste domande: Cos’ho imparato quest’anno?
In che cosa e come è cambiata la mia vita?
Cosa di nuovo sono riuscito a iniziare, apprendere, fare?
Che cosa ho lasciato andare che ora non mi appartiene più?
Dove sono cambiato rispetto all’anno scorso?


Oggi si celebra Cristo Re dell’universo, anche se il giorno più consono sarebbe quello dell’Epifania: la vera regalità accade quando il forte, il potente (i Magi), si inchina al debole, al piccolo e indifeso.

Questa è regalità: inchinarsi e valorizzare tutto ciò che è piccolo e tutto ciò che vive, nella consapevolezza che esso potrà crescere e nascere diventando qualcosa di grande. Essere re vuol dire rispettare ogni piccola cosa che esiste scorgendo la bellezza e la potenza ancora in germe. Essere re è imparare a inchinarsi di fronte alla propria debolezza, fragilità e a uno sbaglio di mira, non per umiliarsi ma per saper ripartire..

Storicamente, invece, questa festa nasce negli anni ’30, quando imperava il fascismo con il suo re: Mussolini. Allora il Papa contrappose al re politico quello religioso: Yeshua, il Cristo. Per questo la presente solennità porta con sé caratteristiche di pomposità, di trionfalismo e di gloria, ma il Vangelo in genere non mostra Yeshua, il Cristo, in questi termini. Oggi addirittura ci presenta il Signore di fronte a Pilato, in una una scena della passione.
E a noi sta decidere chi sia il vero Re.


 

Vangelo del giorno

Pilato allora entrò di nuovo nel pretorio, chiamò Yeshua e gli disse:
Tu sei il re dei Giudei?
Yeshua rispose: Dici questo da te, oppure altri ti hanno detto di me?
Rispose Pilato: Sono forse io Giudeo? La gente, quella tua e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Cosa hai fatto?
Yeshua rispose: Il regno, quello mio, non è da questo mondo;
se il mio regno fosse da questo mondo, i miei inservienti avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei;
ma il mio regno non è di qui.
Gli disse allora Pilato: Dunque tu sei re?
Yeshua rispose: Tu dici che sono re.
Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare la verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.
Gli disse Pilato: Cos’è verità?

Gv 18,33-38


 

Preghiera

Quando ascolto il respiro e non mi perdo nei pensieri,
quando fisso il cielo per accorgermi che tutto viaggia eternamente,
quando compio un’azione che non nuoce ma ricama bellezza,
quando accarezzo una persona senza chiedere il contraccambio,

quando coltivo un orto sognando di regalarne i frutti,
riesco a scorgere, in questa piccolezza che mi costa un po’ di fatica,
il sogno di Dio e il suo invito a costruirlo con Lui.

Quando ricomincio dopo un errore,
quando tolgo le serrature dalle porte,
quando ascolto la voce dei bambini,
quando lascio che il cuore si esprima con un gesto gentile,

quando benedico perché mi sento immerso nell’amore e nella gioia,
sto imparando a non offendere la vita piccola
per coltivare il desiderio di un’umanità più umana.

Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace quaggiù sulla terra,
oggi e sempre.
Amen.

 

Sant’Andrea apostolo

Andrea, il primo chiamato da Yeshua, nato intorno al 6 a.C. è il fratello di Simon Pietro (cfr. Marco 1,16). Cresce nella “casa del pescatore”, significato del nome Betsaida, città posta sulla costa settentrionale del mare di Galilea: non a caso i due fratelli sono pescatori. Sicuramente Betsaida al tempo ospitava una numerosa comunità greca e questo spiegherebbe la locale diffusione di nomi ellenici, quale appunto Andrea.

Matteo evangelista ci informa sul fatto che Andrea è figlio di Giona (cfr. Mt 16,17) o, altrimenti detto, Giovanni (cfr. Gv 1,40-42). Diventa dapprima discepolo di Giovanni l’Immergitore, cosa che non ostacolava affatto il suo lavoro, dopodiché incontra Yeshua su indicazione del “più grande tra i nati di donna” (cfr. Giovanni 1,35-42) e decide di seguirlo. In seguito risponde affermativamente alla chiamata del Signore a diventare "pescatore di uomini” (cfr. Mt 16,17). In tutto questo coinvolge il fratello prima all’incontro e poi alla sequela del Maestro di Nazareth. Per un po’ di tempo i due condivideranno con Yeshua la stessa casa a Cafarnao all’inizio della sua vita pubblica (cfr. Marco 1,21-29).

Andrea, nel Vangelo, è presente in alcune importanti occasioni: durante la moltiplicazione dei pani scorge il ragazzo che, mettendo a disposizione i cinque pani d’orzo e i due pesci, contribuisce al segno che sfamerà cinquemila uomini (cfr. Gv 6,8); con l’apostolo Filippo porta un gruppo di greci a conoscere il Maestro, ricevendo in cambio una grande procedura di vita (cfr. Gv 12,22). Insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, con cui costituisce il gruppetto degli amici di Yeshua, si trova sul monte degli Ulivi, dove “in disparte” lo interroga sui segni degli ultimi tempi (cfr. Marco 13,3). Infine, Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con gli altri apostoli diretti a Gerusalemme, al cenacolo, dopo l’Ascensione del Signore.

Poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, come gli Atti di Andrea citati da Gregorio di Tours. Nonostante questi scritti appaiano tra i libri rigettati dalla chiesa nel Decretum Gelasianum di papa Gelasio I, uno di questi, datato II secolo, afferma che Andrea ha addirittura incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. Scritto in lingua copta, il testo contiene anche questa benedizione di Yeshua all’apostolo: Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen.

Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea va a predicare il Vangelo in Asia Minore e in Scizia, una regione tra il Danubio e il Don, lungo il Mar Nero, ovvero nella Russia meridionale. Predica anche nelle zone limitrofe al Ponto Eusino, in Cappadocia, Bitinia e Galazia. Dopodiché, passato in Grecia, si mette alla guida dei cristiani di Patrasso, in Acaia. Qui, dopo aver fatto abbracciare a molti la verità del Vangelo, incappa nell’idolatra proconsole Egea, che lo condanna a morte, dopo averlo messo in prigione, proprio perché predicava un’altra religione. Subisce il martirio per crocifissione nell’anno 60 o 64, sotto il regno di Nerone: appeso con funi a testa in giù, a una croce decussata a forma di X, a braccia uguali, detta poi “croce di Sant’Andrea”. Egli dichiara di aver scelto lui stesso questo tipo di morte perché mai avrebbe osato eguagliare il Maestro nel martirio.

Sant'Andrea oltre ad essere il patrono di Patrasso, della Scozia e della Russia, lo è anche della Romania in quanto secondo il ricercatore George Alexandrou avrebbe trascorso venti anni nei territori dei Daco-Romani, all’interno di una caverna nei pressi del villaggio di Ion Corvin. Secondo la tradizione, egli è anche il fondatore della sede episcopale di Bisanzio (Costantinopoli), dal momento che l'unico vescovado dell'area asiatica al tempo era quello di Eraclea. La diocesi si svilupperà successivamente nel Patriarcato di Costantinopoli e Andrea verrà riconosciuto come santo patrono della sede episcopale.

Proprio per questa ragione, nel 357 i resti dell’apostolo vengono portati a Costantinopoli dall’imperatore Costanzo desideroso di avere nella città imperiale le sue reliquie per vantare su Roma un titolo di onore; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli, nella quarta crociata, il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce le reliquie in Italia, nel duomo della città. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli, fino a quando papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso e al patriarca ortodosso di Atene, come gesto di apertura sulla strada dell’ecumenismo.

Sant’Andrea è considerato un santo miroblita, in quanto il suo corpo, prima e dopo la morte, emanava una fragranza o lasciava colare dell’olio profumato. Sant’Andrea è considerato il patrono dei macellai, dei cordai, dei pescatori e dei pescivendoli.


 

Vangelo del giorno

Poi, camminando presso il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone detto Pietro e Andrea suo fratello, gettare le rete nel mare; erano infatti pescatori.
E dice loro: Venite dietro di me e vi farò pescatori di uomini.
Ora essi subito, lasciate le reti, seguirono Lui.
E, andato oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, nella barca con Zebedeo, loro padre, a riassestare le loro reti e li chiamò.
Allora essi subito, lasciata la barca e il loro padre, seguirono Lui.

Mt 4,18-22


 

Preghiera

Sant’Andrea, primo chiamato tra i discepoli,
nel fervore del tuo amore hai seguito l’Agnello
che porta su di sé e toglie il peccato del mondo,
anche noi vogliamo trovare e seguire il Salvatore,
cogliendo tra le righe della vita la sua chiamata,
abbandonando le cose temporali
per essere a servizio della Bella e Gioiosa Notizia.

Sant’Andrea, testimone oculare del Signore,
che con amabile tatto hai saputo condurre Pietro
davanti al volto di Yeshua,
desideriamo con te seguire prontamente le divine ispirazioni,
trasmettere per contagio la verità, senza mai forzare la mano,
in modo da ricondurre a Dio i figli dispersi, ingannati e delusi

accettando le contrarietà e gli ostacoli del mondo
e perseguendo la via per entrare nel regno dei cieli.

Sant’Andrea, servitore del Logos,
che con un’intensa predicazione della Parola,
hai illuminato le menti e scosso i cuori della gente
vogliamo pregare per la chiesa di questi tempi,
spesso rinunciataria e poco coraggiosa
di fronte agli eventi attuali e spesso contraddittori,
perché possa tornare a pensare secondo Dio
e non più, in modo perverso e satanico, secondo gli uomini.

Sant’Andrea, martire di Dio,
che coraggiosamente sei andato incontro alla croce

sulla quale sei stato confitto,
abbiamo bisogno di sovrabbondare di Grazia divina
per imparare ad accettare il male nel mondo,
senza combattere, piuttosto seminando il bene e il bello,
per vivere sulla terra la gioia del cielo.

Amen.